Abitare Dove

Verso una nuova dimensione affettiva

Caro Assessore, difficile mestiere il Suo.

Ha davvero a cuore le sorti della città e non sa come fare. Gli imprenditori spingono per costruire

nelle aree migliori: quel posticino tanto carino in centro su cui oggi portano i cani a far pipì; l’orto

subito fuori porta dove c’è rimasto solo un pensionato con la sua casetta; oppure che ne pensa

di trasferire il vecchio ospedale fuori città così si dà lavoro a chi costruisce il nuovo e riutilizza –

quanti bei mini appartamenti ci verrebbero – il vecchio!

Gli architetti poi smaniano: una bella scuola, per carità; oppure rifacciamo il look al municipio,

ormai fuori moda: un po’ di specchi, colorini postmoderni, le ante di vetro che si aprono da sole;

una zona sportiva .... che ne dice di una zona sportiva in periferia: è così disadorna! I Verdi poi

…. A sentir loro non si può (pena ricorsi) abbattere un platano, spostare un fosso, asfaltare una

strada, tutto fermo – e poi tutto va avanti come nessuno vorrebbe.

Gli urbanisti invece, vengono dal Capoluogo e fanno discorsi difficili e poi tracciano linee, colorano

zone, collegano strade, fissano standard, promettono mirabilia ma la città poi (lo sappiamo

per esperienza) non migliora.

In effetti il problema che tutti abbiamo davanti (e non sappiamo risolvere) è riqualificare, riannodare,

ricucire quei legami che trasformano alcuni volumi in un “tessuto urbano” (si dice ancora

così, anche se il tessuto – oggi – non sappiamo più cosa sia). Cioè progettare! La riorganizzazione

di luoghi disorganici, rileggere, interpretare, completare, restituire significato di contesto ad elementi

che oggi giacciono nella loro funzionalistica – al massimo autoreferenziale – (in)significanza.

È la richiesta più difficile (un bell’edificio lo sappiamo fare in molti: basta guardare a pagina 43

di una qualunque rivista di architettura) perché ci mancano gli strumenti. Strumenti “culturali”

ovviamente: ad esempio oggi in Italia, ovunque, si incontrano restauri migliori di quelli realizzati

solo dieci, venti anni or sono, non tanto perché sono migliorate le tecnologie ma appunto perché

abbiamo maturato strumenti culturali più idonei che ci fanno vedere quello che sino a ieri non

vedevamo. Allo stesso modo i nostri padri hanno imparato (con fatica) che il monumento trova

risposta solo nel contesto.

Articolo completo si trova nell'edizione 150 del 2025 alle pagine 4-5.

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