Questo numero della rivista testimonia l’attenzione e la ricchezza di approcci ai temi della sostenibilità
in vari Paesi che si affacciano sulla costa del Mediterraneo, un tempo “mare nostrum”,
oggi “oceano di mezzo”, dato il sempre crescente numero di navi che ormai lo attraversano dopo
il raddoppio del canale di Suez.
Qualche anno fa Sabine Réthoré, artista francese, ha disegnato il «Mediterraneo senza frontiere
», una carta geografica girata di 90° dove riscrive i nomi di città e regioni senza tracciare confini:
«Je n’ai pas dessiné les frontières qui nous divisent, mais les milliers de routes qui nous relient».
Quindi, un Mediterraneo non più con un sopra e un sotto divisi, ma come “grande lago salato
con due sponde speculari, due rive che si specchiano, si attirano, si chiamano… due sponde da
sempre necessarie l’una all’altra, osmotiche anche se a volte in conflitto”.
Sono però due sponde che hanno forte necessità di integrarsi, di interagire. Non possono avere
futuri che ancora accentuino le loro diversità: i Paesi della sponda europea tendono ad avere
peso demografico stabile o anche calante, ma soprattutto con decisa prevalenza di anziani;
quelli della sponda africana hanno invece crescita tumultuosa ed enormi esigenze di nuovi
alloggi, soprattutto di ambienti di vita idonei a una popolazione che per oltre la metà è al di
sotto dei 25 anni. Per non parlare dell’elevata capacità produttiva nella costa nord, alla quale fa
riscontro quella, di fatto, minima sulla costa sud.
Peraltro, il Mediterraneo è il mare in cui il livello cresce più rapidamente rispetto ad altri, così
come la sua temperatura aumenta a un ritmo maggiore: la regione del Mediterraneo, peraltro,
è fra le più sensibili ai cambiamenti climatici.
Occorre quindi contribuire a diffondere dovunque, nell’intera regione, principi e buone pratiche
che consentono di imparare da una parte e dall’altra, di sentirsi uniti. A Siviglia — reinventando
le antiche tecniche dei Qanat — si sono sperimentati di recente dispositivi tesi a ridurre
anche di 10 gradi la temperatura di spazi esterni, individuando, inoltre, spazi più propensi a
costituirsi come luoghi di condensazione sociale, sperimentando cioè inediti legami fra aspetti
bioclimatici e vita civile.