Perché cambiare le nostre case

Witti Mitterer e l'arch. Massimo Pica Ciamarra scrivono per UnargaNews  


Si delineano mutazioni


Gli scienziati ricordano che le pandemie non sono un fenomeno raro. Ci sono state in passato, potrebbero esserci ancor più frequentemente in futuro: sono favorite dall’irruente crescita demografica con inedite concentrazioni e da improprie densità delle attività umane. Una volta frenata l’attuale pandemia cambieranno sostanzialmente i modi in cui creare ambienti di vita e città. Già oggi nelle città cinesi si registra la drastica diminuzione nell’uso del trasporto pubblico e la forte crescita di quello privato. Anche da noi negli spostamenti urbani, probabilmente anche in quelli su distanze maggiori, il mezzo individuale riprenderà sopravvento. 

Torneremo però nelle strade e negli spazi pubblici, utilizzeremo con procedure e forme diverse il patrimonio edilizio che accoglie Biblioteche, Musei, spazi per lo spettacolo e così via; si comincerà a riflettere sui caratteri che dovranno avere quelli del futuro. Napoletano, imprenditore di rilievo internazionale, il “guru delle cravatte e dell’eleganza maschile” punta al restyling rassicurante delle sue boutique sparse nel mondo: affidabilità, sicurezza del personale e dei clienti; inoltre tutti i suoi prodotti d’ora in poi saranno disponibili anche via Internet. D’altra parte il brevetto Walmart per lo “store” in realtà virtuale è sempre più prezioso. L’informatica, se però insieme ad investimenti nelle infrastrutture di collegamento, aiuterà alla riscoperta dei centri minori e potrà anche favorire una reale indifferenza territoriale: si delinea un futuro di reti di centralità urbane interconnesse, cioè minori concentrazioni e patologie.

Gli improvvisi “arresti domiciliari” che stiamo vivendo fanno capire che anche le case dovranno trasformarsi: sia quelle dei programmi di edilizia pubblica da troppo tempo di fatto assenti in Italia, sia quelle in cui oggi viviamo, ogni tanto ristrutturate per rispondere al mutare delle abitudini e degli stili di vita. Prigionieri nelle nostre case, abbiamo cominciato più ampiamente a sperimentare cosa significa interagire a distanza. Le case dovranno rispondere a nuovi requisiti. Non bastano incentivi per renderle antisimiche, non bastano incentivi per azzerare i consumi e ridurre l’inquinamento, non basta che rispondano alle infinite norme che via via si susseguono. È essenziale ripensarle. 

Per un lungo periodo funzioni che storicamente si svolgevano all’interno della casa sono via via state espulse, la sua superficie si è andata riducendo al cosiddetto essenziale. L’era informatica le vuole diverse. Consente di vivere interconnessi, mette ad immediata disposizione enormi e crescenti quantità di informazioni. Telefono, televisione, teleconferenza, telemedicina, televendita, telestampanti, televoto, telelavoro, telepatia, … in questo periodo difficile, scuole e università sperimentano l’insegnamento a distanza, si incentivano forme di telelavoro, crescono gli acquisti online, anche i negozi di vicinato si attrezzano per portare in ogni casa i prodotti essenziali. Per chi vive da solo tutto è solo più facile, ma nei nuclei familiari si determinano inedite condizioni di coesistenza. L’era dell’informatica spinge a ripensare l’alloggio perché consenta anche di isolarsi in condizioni attive e piacevoli, o di partecipare ad azioni comuni stando ciascuno di per sé …  Gli alloggi dovranno affrancarsi sia dalle riduzioni proprie delle ricerche sull’existenz minimum, sia dalla più recente moda dello spazio continuo e unitario. Tutti i coabitanti hanno necessità anche di potersi isolare acusticamente per lavorare o apprendere a distanza, per sentire programmi televisivi magari diversi senza disturbare chi contemporaneamente partecipa a teleconferenze, incontri skype e così via: non sostituiscono rapporti diretti, ma agevolano.

Come occorre spazio per biciclette, carrozzine o altro, si è ora capito come sia indispensabile dotare ogni casa anche di una “stanza” all’aperto -una loggia, una terrazza, un “orto urbano”- cioè di uno spazio aperto e realmente abitabile. Inoltre, ormai acquisito il requisito nZEB, occorre garantire riscontri d’aria e incentivare la sperimentazione di logiche di areazione naturale adatte a sostituire l’aria condizionata. Basta con impianti che sprecano energia cercando di correggere errori di progetto. Per gli ambienti confinati si rafforza la necessità di difendersi dai tanti pericoli dell’indoor.

Salute, benessere psicofisico, umore e vivibilità, chiedono di poter guardare fuori -meglio se simultaneamente in più direzioni-, captare raggi di sole, vedere la luna, a volte proteggersi, anche di ben utilizzare i colori. Poi ci sono le questioni dei materiali di finitura interna che, oltre agli ovvi requisiti di eco-compatibilità, devono anche semplificare igiene, pulizia, manutenzione. Le case dovranno essere capaci di interloquire con la robotica. Le coperture degli edifici non saranno mai più spazi abbandonati, ma luoghi annessi agli alloggi, protetti da pergole fotovoltaiche, trattati a verde di vario tipo, adatti a captare l’acqua piovana; inclinati quando occorre far defluire la neve, ….   Alla banale domanda “ma chi paga ? la risposta è ancor più banale: basta riconoscere le priorità, comprendere come la qualità dell’abitare incida su salute, umore, benessere, felicità ... 

Le pandemie non sono rare. A parte la “spagnola” -della quale ormai non ci sono più testimoni- negli anni ’50 c’è stata l’”asiatica”, nel ’68 “l’influenza di Hong Kong”, poi l’ebola, poi la “sars” nei primi anni 2000 anch’essa venuta da oriente, poi l’“l’influenza suina”. Certo queste epidemie non hanno mai portato a restrizioni come quelle attuali: Covid19 si rivela particolarmente virulenta dove è alto l’inquinamento ambientale, dove le concentrazioni umane raggiungono valori elevati, dove sviluppo e economia hanno impropriamente dominato nella scala dei valori. Sarà lungo e difficile il ritorno a saggi riequilibri: occorre quindi attrezzarsi contro possibili impropri futuri.

Non meno dei 2/3 del costruito sono case. Sostanziale organizzare cluster, comunque rifuggire da “isolati” e da quanto -come dice la parola stessa- non partecipa allo spazio urbano. Senso del costruire è contribuire a formare città/civiltà, definire parti -“frammenti”- che creino condizioni di aggregazione e socialità. Il Covid-19 ha chiuso in casa 4 miliardi di individui, 60 milioni di italiani: in moltissimi luoghi -nel nord come nel sud della penisola- ciascuno dalla sua casa -sui tetti, sui balconi, dalle finestre- ha dialogato con altri, ha cantato, ha contribuito a fare musica insieme. Ciò però non è stato possibile ovunque, perché nel costruito contemporaneo non dovunque esistono condizioni di “città”.  

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