Le grandi foreste parlano con quelle dentro di noi: siamo ecosistemi in sintonia

Esistono da 400 milioni di anni, hanno scavalcato le ere geologiche, hanno assistito ai più grandi sconvolgimenti del Pianeta, hanno pazientemente sopportato tutti i disastri provocati dall’incuria degli uomini e dalla loro sfrenata voracità. Hanno vissuto tremende siccità e temperature glaciali, alcuni esemplari raccontano, attraverso i rami contorti, sofferenze inaudite a cui hanno dovuto far fronte. I cerchi dei loro tronchi descrivono la storia della loro vita. Cerchi più esili corrispondono ad anni più difficili, cerchi più decisi narrano di annate propizie in cui la vita sembrava scorrere più facile. Ricoprono gran parte del pianeta, lo spostamento degli uomini verso le città fa avanzare gli alberi.

Gli alberi esistono da 400 milioni di anni e sono essenziali per la vita. E sono gli esemplari di 70/80 anni almen che hanno la miglior capacità di trattenere la CO2. Ma in Natura tutto è legato: scegliamo la nostra alimentazione per salvarli

I semi degli alberi, portati dal vento, si muovono veloci, colonizzano territori brulli, si impossessano di spazi abbandonati dagli uomini. Sono alberi giovani , appena nati, quelli che riempiono gli interstizi abbandonati. Non hanno in sé la forza della resilienza, non sanno opporsi alla violenza degli incendi, alla penuria d’acqua della siccità, alla furia degli acquazzoni improvvisi. Vengono sradicati facilmente dalla brutalità degli eventi atmosferici estremi. Non riusciranno a divenire foreste, potranno solo cercare di sopravvivere più a lungo possibile. Hanno bisogno di tempo, di lunga, paziente attesa per divenire ciò che potrebbero diventare. Per compiere la loro missione di divenire in grado di assorbire, attraverso il processo della fotosintesi clorofilliana, CO2 dall’atmosfera.

Il tempo che serve a salvarci

Si, questo è il loro grande compito da quando sono apparsi sul Pianeta. Assorbire i nutrienti necessari dal sole, dalle radici, dall’acqua per vivere e nel contempo trasformare ed incamerare nel tronco e nel terreno circostante l’anidride carbonica scartata dal processo. È questo stivaggio che preserva la vita di noi esseri umani. Le piante lo fanno naturalmente, ma hanno bisogno di tempo. Una pianta dall’esile tronco, troppo giovane per sopravvivere essa stessa, non avrà la forza di assorbire. Sono gli esemplari di 70/80 anni almeno, meglio se centenarie che hanno la miglior capacità di trattenere la CO2. La più alta capacità di assorbimento, infatti, raggiunge il suo apice con gli alberi che hanno tra i cento e i trecento anni. Per questo le foreste vergini, quelle in cui l’uomo non è entrato portando con sé il suo carico di distruzione, e le foreste vetuste, quelle in cui l’ecosistema riesce a stare in equilibrio tra nascita e morte sono i luoghi privilegiati per assorbire e trattenere l’anidride carbonica. Per questa ragione dobbiamo preservare le foreste esistenti, dobbiamo prendercene cura per quello che ci è concesso, informandoci, prestando attenzione a ciò che succede intorno a noi.

Senza chiedere nulla in cambio

Non sono solo le foreste lontane ad aver bisogno di noi ma anche quelle vicino a noi, gli alberi abbattuti per far posto ad una superstrada o estirpati per far nascere un centro commerciale. La nostra indifferenza, la nostra disattenzione contribuiscono all’abbattimento di alberi centenari come se nulla mai ci riguardasse davvero. Hanno una grande potenza le foreste, riescono ad assorbire il 30 per cento dell’anidride carbonica mondiale senza chiedere nulla in cambio. Hanno scelto milioni di anni fa di occuparsi dello spazio intorno alle loro radici e di compiere il loro lavoro, senza poter fuggire. La via stanziale le ha contrapposte alla via nomade degli animali che possono sempre fuggire dal pericolo. Le une hanno scelto la via della resilienza a qualsiasi cosa accadesse intorno a loro trovando il loro nutrimento li dove stavano, per gli altri è iniziata la via della ricerca del cibo da procurarsi cacciando e muovendosi costantemente sul territorio. Due vie solo in apparenza cosi distanti, in realtà due vie che convergono ad un certo punto nella coevoluzione reciproca.

Si muovono attraverso i loro semi

In Natura ogni processo ha un senso ben preciso, ogni frammento del mondo naturale ha una sua specifica funzione. L’albero è sessile, cioè è in grado di muoversi attraverso i suoi semi ma non di spostarsi dal luogo d’origine, per questa ragione rappresenta il massimo livello evolutivo di soluzione dei problemi. Molte sono infatti le strategie evolutive messe in atto per portare più lontano possibile i semi e aumentare la variabilità genetica, per sopportare tutte le condizioni climatiche anche le più estreme. Il regno vegetale rappresenta un mondo ancora per lo più sconosciuto ma in grado di esprimere soluzioni ad alto livello innovativo. Per questa innata capacità di innovazione la foresta è la comunità di viventi più longeva al mondo. Il regno animale non è da meno però nella capacità di studiare soluzioni a problematiche complesse.

Il linguaggio danzato delle api

Le cornacchie, dopo un’attenta osservazione della vita degli umani, hanno posizionato le noci che volevano aprire sulle strisce pedonali affinché gli umani risolvessero loro il problema dell’apertura. Le api, per dare istruzioni su dove trovare il cibo hanno sviluppato un linguaggio basato sulla danza e sul battito delle ali. La struttura sociale di un formicaio e dell’alveare raccontano di una perfetta macchina organizzativa in cui ogni problema viene risolto egregiamente da ogni singolo esemplare che unisce le forze a quelle delle altre per produrre il miglior risultato possibile. È una regola fondamentale in Natura quella della collaborazione per arrivare ad un risultato significativo. Le radici degli alberi, sottoterra, sono un reticolo infinito che esplora il terreno e manda segnali di pericolo all’intera foresta in caso di bisogno. Le piante più adulte inviano, sempre tramite le radici, soluzioni zuccherine ai figli in difficoltà. Le formiche collaborano con le piante in un rapporto di mutua collaborazione per salvaguardare le stesse da insetti nocivi.

Nulla viene sprecato, un tempo per nascere e per morire

Le api ed altri insetti collaborano all’impollinazione. Ognuno fa la sua parte, un’interconnessione profonda lega ogni animale e ogni vegetale dell’ecosistema intero. Un misterioso equilibrio fa si che da tempo immemore la Natura faccia il suo corso, nulla viene sprecato, ogni cosa ha il suo tempo per nascere e per morire. Oggi la terra, non più coltivata dalle mani pazienti dei contadini, ma solo arata dai grandi trattori, diviene sempre più arida, sempre più inospitale per la biodiversità che un tempo la fecondava, sempre più bisognosa di fertilizzanti perché i veleni chimici hanno ucciso i batteri e i vermi che la fecondavano. L’agricoltura industriale è sempre più quella delle monocolture, enormi estensioni di terreno dedicate a produrre una sola specie vegetale, per lo più soia o cereali per l’alimentazione animale, o palme da olio, o fiori per le aste olandesi. E per le monocolture si disboscano le foreste tropicali, le più preziose per la salute del pianeta, e si affamano i popoli indigeni espropriati.

L’alimentazione che protegge

C’è un altro terreno che bisogna difendere, un’altra foresta, quella del nostro intestino, dove vivono migliaia di miliardi di microbi che lavorano per noi, che aiutano la digestione, che proteggono la mucosa intestinale dall’infiammazione, che allenano il nostro sistema immunitario, ci proteggono dalle malattie allergiche, dalle malattie autoimmuni e, la ricerca è appena agli inizi ma è molto promettente, dai tumori e molte altre malattie croniche. Dovremmo mangiare il cibo che piace a loro, cioè il cibo naturale piuttosto che le sue trasformazioni industriali, soprattutto il cibo vegetale ricco di fibre, i cereali integrali, i legumi, le verdure, la frutta piuttosto che i succhi di frutta e le bevande industriali. Grandi studi epidemiologici mostrano che alimentarsi in questo modo riduce significativamente le malattie croniche, il diabete, l’infarto, il cancro, le broncopatie croniche, l’osteoporosi, le patologie dell’apparato digerente. È lo stile alimentare che protegge il pianeta.

Le tre cosa da fare ogni giorno: per

Tre cose, in particolare, possiamo fare con le nostre scelte quotidiane di cibo per ridurre il riscaldamento globale causato dall’eccessiva produzione di gas con effetto serra. Primo: ridurre il consumo di carne, specie carni bovine, e di latticini, perché l’allevamento dei manzi e delle vacche da latte è una causa importante dell’aumento, nell’atmosfera, di metano, un gas serra prodotto dai ruminanti molto più potente della CO2. Secondo: per ridurre la combustione di idrocarburi provenienti da giacimenti fossili privilegiare l’acquisto di cibo proveniente da terreni vicini piuttosto che cibo che deve essere trasportato per migliaia di chilometri. Terzo: scegliere cibi biologici, cioè provenienti da terreni non trattati con composti chimici azotati, che rilasciano nell’atmosfera ossido nitrico, un gas serra molto più potente del metano. Il ritorno a un’agricoltura naturale, a un’agricoltura di prossimità senza fertilizzanti artificiali e senza veleni, protegge il pianeta e anche la salute dell’uomo. Oggi è ben dimostrato, infatti, che chi mangia biologico si ammala di meno, in particolare di cancro.



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