Al momento di verde c’è solo la recinzione del cantiere. Oltre la staccionata si riesce appena a scorgere i sondaggi geologici. A un anno di distanza dall’annuncio ufficiale è questo lo stato dell’arte del «bosco verticale» progettato da Stefano Boeri a Bari, per la B&T Costruzioni (azienda partecipata da Cobar) e battezzato «Verdemare».
A dar retta ai suggestivi render, più che verticale, questo edificio sarà orizzontale: un numero incerto di appartamenti, secondo i diversi lanci pubblicitari, ma nella descrizione del progetto offerta dal sito web dello studio Boeri si tratta di un edificio di «otto piani di altezza con circa 130 appartamenti di differenti tagli, da 50 a 150mq, adibiti a utenze diverse per composizione sociale e familiare a cui si aggiungono 10 appartamenti di dimensioni superiori, disposti alle teste dell’edificio e caratterizzati dalla presenza di ampie terrazze e 6 appartamenti con giardino privato». In fondo, dal punto di vista catastale, niente di diverso da quanto si sta realizzando a Bari, città in preda ad una febbre immobiliare favorita da oltre dieci anni di congelamento del nuovo piano urbanistico generale, un vuoto che ha spalancato le porte all’urbanistica contrattata e ai crediti edilizi (mascherati da perequazione), con un proliferare di palazzi di cemento armato, vetro e acciaio inox, intitolati «Borgo Felice» o «Parco Adriatico» o «Villa Pasteur». Suggestioni verdi obbligatorie per realizzare appartamenti al posto di capannoni industriali.
Lo stesso «bosco verticale» di Boeri sorgerà su un suolo che nel vecchio ma ancora vigente piano regolatore di Ludovico Quaroni era destinato a servizi per la residenza, a mitigazione delle sofferenze sociali di un quartiere, il Libertà, che si può senz’altro definire una periferia interna.