L’opzione del 1939

Il trasferimento dei sudtirolesi nel Reich

I tentativi di assimilazione forzata di minoranze nazionali nel periodo tra le due guerre ebbero luogo soprattutto negli stati autoritari o totalitari, come l’Italia fascista, dove tutti i gruppi nazionali non italiani subirono misure coercitive della loro identità: i sudtirolesi di lingua tedesca, annessi all`Italia dopo la disfatta dell’impero asburgico, gli sloveni e i croati, gli aostani di lingua francese, gli albanesi.1 Fino agli anni Trenta, il trasferimento di greci e turchi sulla base del trattato di Losanna (1923) era ancora considerato la soluzione ideale ai conflitti di minoranze. Non sorprende quindi che tali modelli venissero presi in considerazione anche riguardo alla situazione di conflitto etnico presente in Alto Adige / Sudtirolo. In questo caso la politica nazionalsocialista di trasferimento non era originale, ma attingeva a modelli precedenti, anche se li radicalizzava. I teorici del trasferimento non venivano solo dalla Germania. Uno dei primi fu lo svizzero Georges Montadon (1879-1944), che nel 1915 scrisse in tal senso un memorandum per sostenere la necessità di stati etnicamente omogenei.

Nel Reich tedesco, Siegfried Lichtenstädter (1865-1942) pubblicò nel 1917 un documento in cui faceva riferimento alle sue proposte, avanzate già nel 1898 e nel 1912, per risolvere la questione balcanica attraverso trasferimenti di popolazione. Durante la Prima guerra mondiale proponeva di applicare tale modello alla Polonia.

Articolo completo si trova nell'edizione 142 del 2023 alle pagine 32-37.

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